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Marketing digitale e schema TLF

Digital marketing vuol dire utilizzare strumenti e tecnologie IT per poter fare meglio e in modo più efficace il marketing, il quale dovrebbe essere una pratica che tutte le organizzazioni che hanno scopi di business dovrebbero saper fare.

Il marketing digitale si sta affermando sempre più, grazie all’ampia e crescente disponibilità di strumenti stand-alone o integrati in piattaforme e servizi esistenti sul web, tanto da aver superato ormai il marketing tradizionale, basato, cioè, sulle forme di diffusione convenzionali; questo perché a differenza del marketing operato tramite stampa, radio e TV, ha il vantaggio di essere interattivo, ossia di non proporre il messaggio pubblicitario in maniera unidirezionale ma di calibrarlo e sfruttare mezzi di interazione che consentono di acquisire informazioni utili a “correggere il tiro”.

In questo tutorial verrà spiegato che cos’è il marketing digitale e in che modo oggi viene effettuato, passando per lo schema TLF, molto utilizzato e remunerativo.   

Marketing Digitale vs. Tradizionale

Cerchiamo di mettere a confronto il marketing tradizionale con il marketing digitale, aiutandoci con l’immagine seguente, che verte sul marketing operativo e non sul marketing strategico, concetti che estenderemo tra breve.

Il marketing operativo è la fase in cui si vanno a differenziare gli strumenti, i media e le tattiche da usare per incrementare il piano di marketing strategico e, come vedremo, fa riferimento a qualcosa di indipendente dai canali utilizzati, siano essi canali digitali piuttosto che canali tradizionali.

Abbiamo già la differenza tra questi due mondi: il marketing tradizionale fondamentalmente si realizza attraverso la pubblicità sui media tradizionali come stampa, televisione, radio, piuttosto che sulla cartellonistica ed anche al volantinaggio; il telemarketing è un approccio tipicamente tradizionale. La partecipazione alle fiere può essere un'azione di marketing tradizionale, come la pubblicazione di brochure che in qualche modo si va a veicolare sul mercato di riferimento per fidelizzare i clienti e trovarne di nuovi. Nella categoria possono rientrare le azioni di network marketing oppure di vendita porta a porta, anche se qui già si entra nel concetto di vendita.

La caratteristica che accomuna le cose suddette è la componente fisica, ossia che quasi sempre il marketing tradizionale implica la produzione di materiali oppure  l'intervento delle persone, di risorse umane, quindi il tempo e lo spazio sono due componenti fondamentali che rendono oggi meno appetibile il marketing tradizionale rispetto al marketing digitale.

Inoltre il marketing tradizionale implica la mancanza di scalabilità, ovvero l’impossibilità di rendere un processo estensibile, allungabile a un target e a una audience molto più ampia rispetto a quella che stiamo considerando oggi.

Costi, Brand, Vendite, ROI, Audience, Correzioni, Automazione

Ma andiamo a confrontare i due marketing punto per punto iniziando dai costi: tipicamente la produzione di materiali piuttosto che la necessità di intervento umano determinano costi normalmente elevati nel mondo del marketing tradizionale, mentre invece nel digitale i costi possono quantomeno partire da un ammontare molto inferiore e soprattutto controllabile.

La differenza vera, più che nel livello di spesa sta nel cosiddetto gradino di ingresso, che per un’iniziativa di marketing tradizionale di solito è abbastanza alto e per una piccola impresa potrebbe non essere così gestibile, mentre invece nel digitale si può iniziare a fare marketing anche con degli investimenti abbastanza limitati, che poi se determinano effettivamente un incremento di vendite si  può decidere di aumentarli.

Vale il concetto della controllabilità, che nel marketing digitale significa avere la possibilità di tenere sotto controllo costi e risultati in tempo reale, mentre nel marketing tradizionale non è così; infatti quando si fa un investimento (ad esempio per aver realizzato uno spot televisivo) i risultati li misuriamo a posteriori.

Andiamo ora a valutare l'orientamento al brand: essere orientato al brand significa fare entrare nella testa dei nostri interlocutori il nome della nostra azienda, piuttosto che il nome di un prodotto della nostra azienda; nella testa dei nostri interlocutori e di quelli di riferimento in una determinata area di mercato. Il marketing tradizionale ha ancora un ruolo molto importante nel vendere un certo brand, mentre il marketing digitale è un po’ meno orientato alle tecniche di branding (o brand positioning).

Il branding è una delle branche del marketing: ci sono dei business strettamente correlati al mondo digitale che hanno usato i media tradizionali per imporsi sui loro mercati ancorché il loro mercato fosse assolutamente digitale; pensiamo a Facile.it o Zalando, m anche la stessa Amazon. Quindi se l’obiettivo è il branding, vince il marketing tradizionale.

Il rovescio della medaglia è che il marketing tradizionale è poco orientato alle vendite, mentre invece il marketing digitale lo è molto.

Questo significa che non è facile stabilire una correlazione tra le azioni di marketing tradizionale e le vendite conseguenti, mentre invece nel marketing digitale questo controllo è più immediato, perché correlato all’utilizzo di strumenti software.

Quindi il ROI (Return Of Investment) ovvero il ritorno dell’investimento in pubblicità nel marketing tradizionale è poco misurabile, mentre invece con il marketing digitale è misurabile, naturalmente a patto di avere le competenze per interpretare i dati ottenuti.

Altro punto da valutare è l’audience, che nei media tradizionali è molto ampia ma in decrescita, mentre le audience del marketing digitale sono in crescita; un dato per tutti è che nel 2017 per la prima volta l’investimento in pubblicità on-line ha superato quello nella pubblicità tradizionale.

Un altro punto importante è l’aspetto che riguarda le correzioni: se durante una campagna di marketing ci accorgiamo che la campagna non funziona (non determina incremento delle vendite) oppure abbiamo comunicato in modo sbagliato e abbiamo ricevuto dei feedback negativi (succede anche sui Social Network) nel mondo tradizionale dobbiamo sostanzialmente interrompere quello che stavamo facendo e rifarlo, ovvero non possiamo correggere. Invece nel mondo del digitale possiamo fare delle correzioni in tempo reale: per esempio se abbiamo pubblicato un post su un social network e qualcuno ci ha fatto delle critiche o ha fatto notare che non abbiamo comunicato nel modo corretto, possiamo sostituirlo in pochissimo tempo. Possiamo addirittura capire, se abbiamo due pubblicità attive, quale sta funzionando e decidere a quel punto a campagna in corso di mostrare solo una e di spegnere l'altra (questo è un concetto di Split Test).

Ultimo punto da valutare è l’automatizzazione, che è un aspetto molto informatico, perché il mondo del digitale è fatto di strumenti software e gli strumenti software sono programmabili e automatizzabili; questo significa avere la possibilità di fare in modo che una strategia di marketing digitale vada in esecuzione senza l'intervento umano.

Ad esempio sui Social, tramite gli strumenti disponibili, si possono programmare i post, quindi si può costruire un piano editoriale di contenuti (di post) per una settimana, un mese o un anno e programmarne la pubblicazione su LinkedIn, Facebook ecc. Una volta definiti i contenuti, vengono postati automaticamente senza che si debba andare ogni giorno a collegarsi per pubblicarli.

Un altro esempio di automatizzazione è l'e-mail marketing, che presuppone newsletter generate tramite dei software specifici che permettono di programmare l'invio a una lista di contatti un certo giorno a una determinata ora.

Accanto a questa forma semplice di schedulazione di campagne e-mail esistono situazioni complesse, dove, ad esempio, dopo l’invio di una e-mail promozionale ai contatti in lista se ne vuole effettuare una seconda più selettiva, ossia soltanto alle persone che avranno aperto la newsletter precedente e avranno cliccato su un determinato link, mostrando quindi interesse verso il prodotto propagandato. E magari anche una seconda e-mail di invito ai contatti che non l’avranno aperta.

Cose del genere non sono fattibili nel mondo del marketing tradizionale, se non con il reiterato intervento umano.

In ultima analisi c'è un aspetto che riguarda la direzionalità, ossia outbound versus inbound: il marketing tradizionale normalmente è un marketing outbound, cioè sono le aziende che cercano i clienti e lo fanno andando a interrompere quello che essi stanno facendo nella loro vita; infatti si parla di interruption marketing. Quindi la telefonata che arriva inaspettata mentre siamo in casa, il venditore porta a porta che si presenta inaspettatamente, la pubblicità che compare mentre stiamo vedendo un film ed anche il banner che compare sul sito web che stiamo guardando, può arrecare disturbo e come consumatori abbiamo creato i nostri anticorpi per evitare questa forma di comunicazione.

Il marketing digitale invece può essere inbound, ossia se ben applicato non sono le aziende che cercano i clienti ma sono i clienti che cercano le aziende, anzi per dirla tutta, i clienti cercano la soluzione a un loro problema, bisogno o a un loro desiderio e attraverso questo incontrano le proposte e gli annunci delle aziende che potrebbero aiutarli. Classica è la ricerca su Google o su Bing, cui corrisponde una serie di annunci sponsorizzati, oltre a un certo numero di pagine più o meno indicizzate, andando sulle quali si viene poi attratti da strumenti di marketing che consentono di acquisire i contatti.

Marketing strategico e operativo

Facciamo ora chiarezza su un concetto “tirato in ballo” qualche pargrafo indietro, ossia quello di marketing strategico e marketing operativo. Il marketing strategico precede il marketing operativo ed è qualcosa che si fa indipendentemente dal fatto che poi si decida di adottare delle strategie di marketing tradizionale o digitale (l’ideale è mischiare il marketing tradizionale col marketing digitale).

Che cosa si intende per marketing strategico è spiegato nell’immagine seguente, la quale può darvi un’idea di tutte le azioni che compongono la strategia di marketing.

Quindi bisogna fare l’analisi di mercato, l'analisi della domanda (chi sono i potenziali clienti, ossia  la cosiddetta analisi delle “Buyer Persona”), l'analisi della Competition (quindi quello che fanno i concorrenti), l'analisi del posizionamento di brand (Brand Positioning, ovvero valutare la differenziazione rispetto alla concorrenza, magari scegliendo una determinata nicchia di mercato).  Le strategie di prodotto ovviamente che possono essere correlate alla domanda.

La S.W.O.T. (acronimo di Strengths Weaknesses Opportunities Threats) quindi l'analisi molto autocritica che le aziende dovrebbero fare per identificare punti di forza (Strengths), i punti di debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) offerte dal mercato e le minacce che in un certo momento il mercato presenta.

Marketing Inbound - Dalle 4P al S.A.V.E

Ora approfondiamo i concetti di inbound e outbound cui abbiamo accennato. Partiamo da quello che nello studio del Marketing è noto come concetto delle 4 P il quale dice sostanzialmente che per analizzare una strategia bisogna far riferimento a quattro termini che iniziano, appunto, per P e che sono:

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  • Product, ossia il prodotto o servizio offerto;
  • Place, ossia il posizionamento o canale distributivo;
  • Price, cioè il prezzo del prodotto o servizio;
  • Promotion, ossia la promozione.

In uno scenario di tipo inbound, l’approccio delle 4P non è più sufficiente, soprattutto se si tratta di business to business; occorre un cambio di paradigma dall’inbound all’outbound e dalle 4 P a un modello il cui acronimo prende il nome di S.A.V.E. il quale significa che anziché sul prodotto dobbiamo focalizzarci sulla soluzione. L’acronimo sta, infatti, per Solution Access Value Education, quindi inquadrare il problema che il prodotto potrebbe risolvere e proporlo al pubblico come soluzione.

L’immagine seguente propone lo schema S.A.V.E. (la fonte è Harward Business Review (Jan-Feb 2013 Issue) nel quale il primo punto è proprio Solution, ossia proporre un prodotto o servizio come soluzione a un problema che il potenziale cliente sente proprio o che la campagna di marketing può far percepire come imminente.

Il secondo aspetto, ossia Access, si ricollega al posizionamento (Place) del prodotto o servizio e coinvolge il contesto di mercato in cui posizionare un prodotto e quali canali distributivi utilizzare per venderlo; oggi si va verso una logica unichannel in cui si usa il web e questo vale sia per la disponibilità che i potenziali clienti hanno di acquistare un prodotto, sia per la possibilità di sfruttare nuovi canali di comunicazione che sono quelli di cui si tratta in questo webinar.

Il terzo punto (Value) è che bisogna superare e far superare al potenziale cliente il concetto di prezzo e di costo, quindi puntare sul valore e sul fatto che il prodotto o servizio giusto è un  investimento che farà risparmiare nel breve, nel medio o anche nel lungo periodo; questo rende il prezzo un fattore secondario, naturalmente a patto che il target della campagna pubblicitaria bbia le risorse adeguate.

L’ultimo punto (Education) riguarda quella che in gergo viene chiamata “educazione” del contatto, ossia una serie di condotte mirate ad accompagnare il cliente dal contatto alla vendita; quindi il marketing deve fare in modo da trasmettere al potenziale cliente tutta una serie di informazioni in modo da fornirgli motivazioni per ritenere che il prodotto o servizio proposto sia il migliore per lui.

Quindi focalizzarsi non tanto sul concetto di mera promozione, ma creare il contesto che convinca il potenziale cliente che il prodotto offerto è meglio di quello della concorrenza ed è quello che può risolvere il problema.

Questo approccio richiede del tempo, in quanto non è così veloce perché prevede diversi passaggi, dato che prima di vendere un prodotto o un servizio a un cliente bisogna mandargli del materiale informativo, poi questo acconsentirà a ricevere la visita di un commerciale, poi di uno specialista tecnico per fare una demo e poi magari acquisterà.

Le 4 fasi del marketing Inbound

Volendo schematizzare il marketing inbound, si può affermare che prevede una comunicazione interattiva, che i clienti arrivano all’azienda attraverso i motori di ricerca, attraverso i Social Media e così via e che nelle azioni di marketing si tende a fornire valore, contenuti educazione eccetera. Chi fa marketing deve preoccuparsi di questi aspetti. In uno scenario B2B il marketer deve preoccuparsi più dell’educazione del lead, mentre nel B2C si parla più di entertainment.

Nel marketing tradizionale, che è outbound marketing, la comunicazione avviene in modo unidirezionale attraverso radio, TV, mezzi di stampa ecc. e non si applicano i concetti di valore, di educazione o intrattenimento del contatto.

L’immagine seguente è presa da HubSpot, che è un’azienda americana che vende una suite di Digital marketing; HubSpot ha dei contenuti sul proprio blog dove ci sono sempre tanti documenti, articoli, e-book e video che spiegano molto della metodologia inbound del marketing digitale.

Lo schema proposto delinea le quattro fasi di un cliente nella metodologia inbound: si parte da uno Stranger (estraneo, straniero) cioè qualcuno che l’azienda non conosce e che nella fase ATTRACT si cerca di attrarre; in questa fase un visitatore sul nostro sito web si attira attraverso il blog, tramite delle azioni legate alle parole chiave del sito nella ricerca su Google o attraverso il social publishing, che è la pubblicazione di contenuti sui vari social network.

Quando il contatto arriva al sito e diventa quindi un visitatore ignoto, lo dobbiamo convertire (fase CONVERT) in lead, quindi nel potenziale cliente, cioè di quello di cui abbiamo i dati per poterlo ricontattare; questa azione si effettua attraverso le landing-page, i form di acquisizione contatto e le Call To Action.

Poi c'è la fase successiva che è la conversione o di chiusura (CLOSE) da lead a cliente e tutta una serie di workflow, di successive azioni di ricontatto che possono essere azioni digitali (e-mail, per esempio), anche se nel B2B si possono prevedere delle azioni fisiche nella fase finale di chiusura, ovvero la visita di un  commerciale.

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Infine c’è una fase di DELIGHT, che è quella dove si cerca di mantenere il cliente acquisito e di farsi aiutare da esso a trovare nuovi clienti e a perfezionare la campagna di marketing mediante sondaggi (Surveys) Smart Content ecc. In questa fase di post-vendita il cliente diventa anche un promotore in grado di referenziare l’azienda in modo positivo, allo scopo di generare dei nuovi Strangers che entrano praticamente in modo iterativo all’interno di questo sistema.

Lo schema TLF: sito web e sorgenti di traffico

TLF significa Traffic Lead Funnel e delinea come si articola lo schema corrispondente: la prima fase è l’acquisizione del traffico, la seconda la generazione dei lead e la terza la costruzione di un funnel di marketing. Il relativo schema riassume tutte le componenti del marketing digitale, dando un ulteriore interpretazione di dettaglio ciò che è stato spiegato sinora sull’inbound marketing.

L’elemento primario di una strategia di marketing digitale è il sito web dove dobbiamo attirare i nostri visitatori, che può non essere il sito web istituzionale dell’azienda ma potrebbe essere un minisito o comunque un sito dedicato a un determinato prodotto o un'iniziativa speciale che avete deciso di avviare in una certa fase. Potrebbe essere anche una landing-page.

Per chi fa e-commerce, potrebbe non essere un sito web ma l’e-commerce, la pagina e-bay di un venditore o una pagina commerciale su Social Network.

Insomma, si deve partire da una piattaforma web dove pubblicare un annuncio o un banner, ovvero una landing-page cui una ricerca su Google porta il visitatore; il tutto, allo scopo di generare traffico, ossia utenti del web che visitano una certa pagina. In una certa misura, il traffico influenza la riuscita della campagna, anche se poi sono le strategie adottate a partire dalle visite, ciò che fa la differenza, ovvero che può portare a tassi di conversione (Conversion Rate) da visitatore a lead interessanti.

I visitatori devono avere due caratteristiche: devono essere in quantità sufficiente da supportare il marketing (in questo è utile aumentare le sorgenti di traffico, come mostrato nell’immagine seguente, che riporta lo schema TLF); il relativo traffico dev’essere di qualità, cioè i visitatori devono essere selezionati, ossia bisogna cercare di attrarre persone che possono essere interessate al servizio o prodotto offerto, quindi se lo scopo è vendere profumi da donna quel che interessa è intercettare delle donne, possibilmente interessate ai profumi.

La prima fonte di traffico, storicamente sono i motori di ricerca, primo fra tutti Google: in questo caso si parla di Search Marketing. Il visitatore che arriva da un motore di ricerca è molto prezioso perché nasce con una caratterizzazione molto inbound, in quanto se ha cercato vuol dire che ha un interesse; sicuramente è più interessato di uno che viene attratto da un AD su Social network, banner o cose del genere, dove al massimo va per curiosità o perché l’annuncio risveglia in lui una necessità.

In Google esistono due ramificazioni del Search Marketing: la prima si chiama SEO (Search Engine Optimization) che sono le tecniche che permettono di posizionarsi ai primi posti di Google giocando sulle parole chiave; la seconda è la strategia SEM (Search Engine Advertising) che prevede l’utilizzo di una piattaforma che si chiama Google ADS (si chiamava Google AdWords), la quale permette di pubblicare degli annunci a pagamento all'interno della pagina la pagina di risposta alla richiesta su Google.

I Social Network sono l’altra metà della mela rispetto al Search Marketing: un utente dei Social, differentemente da quello che succede sul motore di ricerca, non è particolarmente sensibile a un messaggio commerciale. Il traffico che ne deriva non è necessariamente caldo per rispondere a un’offerta commerciale che potrebbe arrivare da un fornitore; però c’è il vantaggio derivante dalle piattaforme pubblicitarie dei Social, che permette di accedere a tutti i dati raccolti sui profili e sull’operatività degli utenti, che consentono di costruire campagne di marketing più attinenti e mirate e intercettare con precisione l’audience desiderata.

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Altra fonte di traffico è l’e-mail marketing, anche se vale di più nel B2B, mentre nel B2C spesso è associato e affidato a tecniche di spamming.

Esistono delle piattaforme di e-mail marleting che funzionano molto bene e hanno dei costi accettabili.

L’obiettivo della generazione di traffico è portare visitatori verso il sito web, ossia sulla landing- page, la quale è una pagina del sito web progettata appositamente all’interno della campagna di digital marketing e che ha fondamentalmente ha due caratteristiche: la prima è di essere coerente con il messaggio o la ricerca che ha generato il visitatore, cioè deve riportare all’oggetto della campagna, a ciò che il visitatore si aspetta di trovare. Quindi se ci arriva da un AD Google o da Social, deve trovare in primo piano il prodotto o servizio pubblicizzato. Questo, anche perché pare che il tempo in cui un visitatore decide se rimanere sul sito o abbandonarlo è intorno ai 5 secondi, quindi se in quell’intervallo non trova ciò che si aspetta abbandona la pagina ed è un lead perduto.

Pertanto quando si parla di landing-page si intende tecniche di copywriting, testi con cui si cerca di catturare l’attenzione del cliente, ma anche video, perché i contenuti visuali del genere sono capaci di attrarre il visitatore soprattutto nei primi secondi e convincerlo a rimanere sulla pagina e ascoltare tutto quello che dovete raccontargli.

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La seconda caratteristica della landing-page è di essere orientata all’azione, quindi deve contenere la call-to-action, che è un invito esplicito a fare ciò che vogliamo faccia: quindi “Scarica ora” se si tratta di un contenuto, “Iscriviti” se si propone la partecipazione a un evento o a un circolo di utenti, “Chiedi una quotazione, richiedi informazioni, contattaci” e via di seguito. Una call-to-action ben fatta porta quasi certamente alla conversione da visitatore a lead.

Dal Traffico al Lead

Esaurito il discorso sulla creazione del traffico, visto come si può convertirlo, passiamo allo stadio successivo che può essere duplice:

  • acquisizione di un cliente
  • acquisizione di un lead.

L’acquisizione di un cliente è abbastanza facile: il visitatore arriva sul sito dove vendono un certo prodotto, lo mette nel carrello e diventa un cliente, però questo (che è il blocco in basso a destra nell’immagine seguente) è uno scenario limitato a contesti business-to-consumer e non è comunque detto che il visitatore faccia l’acquisto di impulso. Anzi, spesso è attratto da un annuncio, vede un prodotto e va a cercarlo sul web perché a interessarlo è il prodotto e non necessariamente a chi glielo ha proposto.

Il concetto del ricontatto vale anche per chi è già cliente: in questo caso l’obiettivo non è la conversione da lead a cliente, ma quello di fare upselling e cross-selling, cioè cercare di vendere allo stesso cliente più volte lo stesso prodotto (lo fa ad esempio eBay con chi ha acquistato qualcosa) se ha senso, piuttosto che vendergli prodotti correlati (anche qui eBay, Amazon ecc. sono d’esempio). Questo perché è più facile vendere qualcosa a un cliente, soprattutto se soddisfatto, che creare un nuovo cliente partendo da un lead o dal traffico di visitatori. Lo schema completo nell’immagine seguente contempla tutte le possibilità esposte sinora, compreso l’upselling e il cross-selling.

Il diagramma riassume in toto quella che può essere una strategia di marketing in generale e trasposto nel mercato tradizionale trova affinità: per esempio il traffico è la gente che passa davanti a un negozio, la landing-page è la vetrina del negozio, l’acquisizione di un lead è quando all’interno del negozio vi vanno fare una Fidelity Card e quindi chiedono in cambio i vostri dati a fronte di qualche vantaggio sugli acquisti.

Siccome il marketing digitale si basa su dei software, ci sono a disposizione dati e strumenti di controllo tipo Google Analytics eccetera. Si può anche eseguire lo Split Test (anche noto come A-B test quando si tratta di confrontare due sole configurazioni), ossia creare due (o più) versioni della campagna di marketing di uno stesso oggetto all’interno di questo schema e vedere quale funziona meglio: immaginate di avere il 50% del traffico che arriva su una landing-page e il restante 50% del traffico invece su una seconda landing-page che ha la stessa comunicazione ma con un video, con il testo ecc. Possiamo quindi confrontare i tassi di conversione ottenuti e avere chiaro quale tipo di campagna è meglio portare avanti e quale abbandonare.

Il Sales Funnel

Passiamo all’ultima parte dello schema, ossia il funnel e, nello specifico, il Sales Funnel: si tratta di  un processo di vendita, cioè l'insieme delle azioni che facciamo per poter convincere un lead a diventare cliente. Si chiama Funnel (letteralmente, imbuto) perché le azioni partono dalla gestione di un parco di lead grezzo ma comunque composto da soggetti che sono stati scelti in base a regole indicanti che hanno buone possibilità di acquistare, e mirare sempre più le azioni successive fino a portare i lead a diventare clienti e, successivamente, dei testimonial dell’azienda e dei promoter, ma anche acquirenti di ulteriori prodotti. Il tutto è descritto dall’immagine seguente.

L’ideale è fare in modo che almeno la parte alta del funnel (sopra la linea tratteggiata che vedete nell’immagine precedente), ossia quella in cui i lead sono stati appena acquisiti, venga gestita attraverso un sistema di Marketing Automation, cioè un sistema dove non ci sia bisogno dell’intervento umano, perché un commerciale non può perdere tempo con un cliente che poi si rivela non in  possesso del budget per comprare.

Questa fase iniziale si dice di Lead Nurturing, ossia di nutrimento del lead, di coltivazione del lead, che fa riferimento anche a quel concetto di educazione accennato in precedenza; si può gestire ad esempio con piattaforme di e-mail marketing automation che offrono la possibilità di inviare delle e-mail programmate e strutturate in un workflow. Nel mondo consumer stanno cominciando a funzionare molto bene anche le chatbot, ossia messaggi in chat gestiti in modo automatico, ma nel mondo B2B non hanno particolare importanza.

La riga tratteggiata nell’immagine suaccennata perché determina il momento, all'interno del funnel, in cui si passa nel Bottom of the funnel, ossia nella fase in cui, almeno nel contesto B2B, bisogna “passare la palla” alla forza vendite e fermarsi con l’automazione.

Il concetto importante quando si progetta un funnel di vendita è capire dove si posiziona quella linea tratteggiata e poter risparmiare la forza vendita per concentrarsi sulle trattative più calde e fare in modo che il processo di maturazione (Lead Nurturing) della relazione avvenga il più possibile in modalità automatica.