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L’aggregazione tra aziende

In questo tutorial introduciamo l’argomento “aggregazioni” tra aziende, anche chiamate merge & acquisition, con il contributo di Sweat Equity, realtà specializzata nel settore. Le aggregazioni o fusioni sono un tema interessante e sempre attuale, che chiunque abbia una realtà produttiva si è trovato o si troverà ad affrontare, perché verrà il momento di cedere l’attività o di accorparla con un’altra alla pari o acquisendo altre aziende.

Differenze tra alla pari, da aggregante e da aggregato - Percorso step by step

La prima tematica da affrontare è in che modo possono avvenire le aggregazioni tra due aziende. Ebbene, possono avvenire a tre condizioni:

  • alla pari;
  • da aggregante;
  • da aggregato.

Alla pari significa che ciascuno dei partecipanti all’aggregazione, ossia le due aziende, detengono ciascuna il 50% dell’azienda aggregata.

Questa è l’ipotesi in cui l’equilibrio è un po’ più complicato, perché se le cose non vanno nell’interesse di ciascun azionista, detenere il 50% di partecipazione non permette ad uno di prevalere sull’altro, quindi quando le cose vanno bene si tratta del modo migliore per fare l’aggregazione, ma quando non vanno bene la gestione può diventare un problema che porta anche alla stasi.

Sicuramente all'inizio è la forma di aggregazione, del concetto di Join Venture, migliore, perché entrambe le realtà sentono di avere uguale voce in capitolo e sono rassicurate nell’entrare in aggregazione, però se poi le cose non vanno in un certo modo non è l’ideale. Un accordo ala pari, all’inizio può agevolare un aggregazione, però è una formula accettabile se c’è concordia assoluta sulle strategie aziendali e comunione d’intenti,

Per ovviare al problema, spesso nelle aggregazioni fatte con questa formula si prevedono delle clausole per affrontare e risolvere situazioni di stallo che dovessero insorgere a causa dell’opposizione di una delle due realtà aggregate; un esempio è la famosa “clausola del cowboy” ossia si stabilisce che in caso di controversia uno dei due determina il prezzo e vende il proprio 50% oppure acquista il 50% dell’altro soggetto.

Quanto alla formula “da aggregante” un partecipante all’aggregazione detiene il controllo dell’azienda aggregata con una partecipazione di almeno il 50,01 e fino al 100% e quindi ha il controllo effettivo dell’attività.

In ultimo la formula da aggregato significa che un partecipante viene aggregato all’altro, ossia acquisito e detiene la quota di minoranza dell’azienda aggregata.

Il percorso per giungere a un’aggregazione ha tempi che possono variare, però normalmente alcuni mesi sono sempre necessari, a seconda della dimensione e della complessità delle aziende che partecipano all’aggregazione.

Questo tempo serve perché le aggregazioni prevedono dei contatti preliminari tra gli imprenditori, tra i vertici, in modo che si valuti in prima battuta la convenienza o meno dell’aggregazione  attraverso il rapporto rischio/rendimento.

Durante le trattative è opportuno fare un accordo di riservatezza tra le parti coinvolte nell’aggregazione in modo che le informazioni scambiate tra le stesse siano da considerarsi riservate ai loro consulenti, includendo in tali informazioni l’esistenza di una trattativa tra le società che faranno l’aggregazione, che non devono comunicare a terzi che è in corso un accordo questo tipo di trattativa.

Ulteriore tempo richiede la trattativa sui dati chiave.

Poi è fondamentale che ci sia una lettera di intenti tra le parti in causa, nella quale viene indicato che c’è l’intenzione di procedere all’aggregazione, definendo a grandi linee l’operazione. La lettera può essere vincolante o meno; normalmente la lettera di intenti di per sé non ha un contenuto vincolante per le parti, dal momento che serve solo a puntualizzare l’avanzamento delle trattative fra i partecipanti all’aggregazione e fanno eccezione eventuali clausole di riservatezza e di esclusiva.

Un altro aspetto che non manca nelle trattative importanti è l’impegno delle parti all’esclusiva, cioè a non trattare l’aggregazione con terzi per un certo periodo di tempo che può essere un mese, un anno o quello che viene stabilito per le parti; questo perché se è in corso una trattativa con un soggetto non si può aprirne con altri e serve a dare il tempo a ciascuna delle realtà in fase di aggregazione di espletare tutte le pratiche del caso, ad avviare determinate attività ecc.

Normalmente non è vincolante perché la lettera di intenti non è un contratto a meno di non contenere tutti gli aspetti inclusi nel contratto principale.

Una volta definita la lettera d’intenti, una sorta di manifestazione di interesse, vi è la due diligence che è una pratica affidata ai tecnici, quindi revisori, consulenti fiscali e avvocati che esaminano le informazioni che ciascuna parte ha fornito all'altra per stabilirne attendibilità o meno, la profondità delle analisi e le informazioni necessarie per arrivare all’aggregazione.

Poi vengono definiti gli accordi tra le parti chiamati patti parasociali, di governance, che definiscono chi saranno gli amministratori, il presidente, l’amministratore delegato, ma anche eventuali accordi tra soci di maggioranza e di minoranza, eventuali opzioni di vendita e di acquisto successive all’aggregazione, dopodiché si arriva al contratto finale.

Ovviamente prima del contratto finale, che è il contratto definitivo di aggregazione che obbliga legalmente le parti, è necessario che le due parti in trattativa operino in perfetta buona fede in modo che diano informativa completa e corretta alla controparte sulle cose fondamentali; ed è necessario che ci sia chiarezza e segretezza delle informazioni e che ciascuna parte operi nel senso di arrivare alla trattativa.

L’eventuale recesso ingiustificato di una delle parti coinvolte nell’aggregazione può comportare una responsabilità precontrattuale prima ancora di stipulare il contratto finale.

Informativa completa vuol dire che se esistono delle questioni delicate da riferire, comprese eventuali irregolarità o eventuali violazioni di legge o quant'altro (cause in sospeso) non può essere sottaciuto da una società partecipante all’altra, perché anche se poi viene steso un contratto finale con tutti gli obblighi, quello che si viene a sapere dopo che danneggia l’aggregazione successivamente, diventa imputabile come responsabilità alla parte che non ha informato in modo completo e causa magari la rottura dell’accordo o qualcosa di sicuramente negativo, con il conseguente accollo della responsabilità.

Presupposti fondamentali - Cosa includere e cosa escludere nel perimetro

L’aggregazione vale se ci sono opportunità di mercato evidenti; chiaramente ci sono settori che lo prevedono e altri che non lo prevedono.

Hanno senso se ci sono Sinergie tra la partecipante la partecipata (insomma tra le due partecipanti all’aggregazione) se ci sono affinità elettive e soggettive chiamiamolo feeling anche tra i vertici è una cosa diciamo immateriale; ed anche valori condivisi tra le parti, missione.

Valori come correttezza e trasparenza, condivisione sono le premesse per arrivare all’aggregazione.

Ciò detto è opportuno valutare cosa si può aggregare, ossia l’oggetto dell’aggregazione, che normalmente è tutto e solo il core business, che è l’attività principale delle aziende partecipanti. Quindi è opportuno identificare il perimetro d’aggregazione che già in sede di trattative è stato esaminato e che permette di definire l’oggetto dell’aggregazione. Allo scopo bisogna determinare quali sono i beni materiali e immobilizzazioni tecniche che devono essere incluse nell’aggregazione, i beni immateriali (avviamento, marchi, know how ed eventuali brevetti), quale personale entra nell’aggregazione e quale rimane fuori perché non è nel core business oppure legato a logiche del tipo attività familiari e quindi persone che non sono inerenti all’attività principale o di fatto non concorrono al business pur figurando come personale dell’azienda. Altri elementi che definiscono il perimetro dell’aggregazione sono l’organizzazione aziendale, i clienti e fornitori e normalmente si include quelli che sono relativi al core business.

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Passando all’esame dello stato patrimoniale, normalmente si tende ad escludere attivi come l’auto propria non utilizzata per l’attività aziendale, la casa al mare della famiglia e quindi in generale le attività non “core”, ma anche le proprietà immobiliari e i beni non strumentali, ma anche gli strumentali si tende a tenerli fuori dall’aggregazione. Per questi ultimi magari si può prevedere un contratto d’affitto con chi cede l'attività, che rimane di proprietà se l'attività è proseguita e l’immobile viene affittato da un partecipante. Si escludono anche i crediti inesigibili, che vengono ceduti o lasciati a uno dei partecipanti. Altro elemento da escludere è l’extra cash, quindi se c'è un’eccedenza finanziaria può succedere che una posizione finanziaria attiva si valuta normalmente di non farla includere nella valutazione a vantaggio di uno dell’altro, ma di cercare un modo per distribuirla alla parte che l’ha maturata e non entrare nell’aggregazione.

Per quanto riguarda gli elementi passivi, vediamo quelli da non far entrare nell’aggregazione: normalmente si tende ad escludere i debiti finanziari verso le banche precedenti l’aggregazione e i debiti fiscali scaduti; tra l’altro questi sono un campanello d’allarme perché debiti fiscali o previdenziali potrebbero essere difficoltà magari non esattamente quantificate del bilancio da analizzare. A riguardo va saputo che oggigiorno si può chiedere la situazione fiscale anche all'Agenzia delle Entrate, la posizione contributiva e la regolarità all’INPS, quindi ci sono dei sistemi per ottenere certe informazioni.

Tutti questi sono poste attive o passive che normalmente vengono considerati aventi un impatto sul prezzo; non è che uno si può inventare una formula diversa di aggregazione e gli elementi da escludere sono una prassi.

Metodi e parametri per calcolare il valore di un'azienda durante una proposta di aggregazione

Ma a quale valore dobbiamo fare queste aggregazioni? Allora nella dottrina e nella pratica ci sono moltissimi metodi e parametri, sia patrimoniali sia reddituali, finanziari, mix tra tutti questi, ci sono anche dei metodi che si rifanno alla teoria dei giochi, ma quelli che stanno prendendo sempre più corpo nel corso degli ultimi anni e sono più seguiti nella prassi e nel pragmatismo (in Italia vengono fatte tra le 600 e le 800 operazioni di acquisizione aggregazione all’anno) sono i metodi finanziari.

In quest’ottica un elemento determinante è l’EBITDA (Earnings Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortization) che significa gli utili al netto degli interessi passivi, delle svalutazioni, degli ammortamenti e delle tasse.

Quindi i costi per la moglie che ufficialmente lavora in azienda ma non si fa mai vedere in ufficio o i costi della casa al mare e quelle quelle degli utili lordi vanno normalizzati, vanno purificati, vanno eliminati questi elementi di impurezza. Tant’è vero che c'è qualcuno ricorda come l’EBITDA possa essere anche interpretato goliardicamente come “gli utili prima che ingannassi il revisore o il certificatore poco accorto”.

Ecco, a questo EBITDA si vedono applicati dei multipli da 4 a 8 ma qui è giusto per stare bassi, ma ci sono dei settori che arrivano a 12/15 ci sono già in certi momenti fotovoltaico piuttosto che non le dot-com nell'anno 2000 che avevano multipli a due cifre.

Altri parametri che possono essere presi in considerazione sono il fatturato, che può concorrere alla valutazione dell’azienda secondo un fattore da 0,5 a 1,5, sebbene siano state fatte transazioni dove l’azienda è stata valorizzata anche 7 volte.

Ora bisogna chiedersi a quali valori si applicano questi moltiplicatori: a dei valori puntuali, pluriennali medi, consuntivi o attesi (earn-out)?

Questo è rilevante perché se ci si basa sui valori attesi, magari un’azienda che ha fatto 500.000 euro di fatturato negli ultimi tre anni ma il prossimo anno visto che si deve aggregare afferma che ne farà 3.000.000, diventa un problema.

Nel calcolo del moltiplicatore, EBITDA e fatturato non vengono combinati ma di solito uno fa da contrappeso all’altro e poi non sono tanto dei fattori e moltiplicativi da applicare a un numero nudo e crudo ma richiedono sempre degli altri tipi di controlli in termini reddituali, piuttosto che patrimoniali; si preferisce utilizzare metodi ibridi, patrimoniale-reddituale misti.

Poi ci sono settori molto particolari dove si utilizza il numero dei contatti, clienti e fornitori: per esempio le quotazioni delle società che sono entrate al NASDAQ negli ultimi anni sono state basate su parametri del genere.

A riguardo si può fare l’esempio di WhatsApp, dove c’era un fatturato o un EBITDA circa uguale a zero, però aveva moltissimi contatti e nel fare la valutazione è stato definito come parametro un valore per contatto. Altro esempio è Linkedin, che è stata valutata 24 miliardi di dollari sulla base di 400 milioni di soggetti registrati e perfettamente profilati, quindi 60 $ a soggetto profilato.

Per fare un altro esempio, un’azienda che ha due clienti ciascuno dei quali le porta metà del fatturato è quotata meno di un’altra che a parità di fatturato ha 100 clienti, perché in quel caso c’è una concentrazione del rischio, dato che se uno dei due clienti lascia o non paga perché va in fallimento, metà del fatturato di quell’azienda salta, mentre la perdita di un cliente su 100 è irrilevante, a meno che non sia quello che porta buona parte degli introiti.

Certamente ci sono dei parametri di riferimento, ma poi per ogni ogni singola azienda la valutazione si personalizza sullo scopo dell’aggregazione; le valutazioni della singola azienda possono variare da 0 a 100 a seconda del soggetto cui si appica.

Per dare un’idea di ciò, si può considerare la vendita della catena Burghy a McDonald’s avvenuta una ventina d’anni fa: Burghy era stata valutata 160 miliardi di lire, però McDonald’s da 10 anni cercava di aprire in Italia nei posti che vengono chiamati i flagship store e non riusciva a farlo, quindi per entrarci attraverso le location di Burghy pagò quest’ultima più di 250 miliardi delle vecchie lire invece di 160. Quindi è chiaro che il prezzo varia moltissimo in funzione del destinatario, perché nel caso di McDonald’s era l’unica maniera per entrare in un mercato in cui non riusciva a penetrare. 

Quando effettuare un'aggregazione

Resta da stabilire qual è il momento giusto per fare un’aggregazione. Ebbene, prima si inizia il processo e prima si calcolano e si remunerano i rischi, prima si può rendere liquidabile anche l'investimento nell’azienda. Perché l’investimento fatto dalle persone in un’azienda è un asset che solo se viene svincolato dalla presenza dell’imprenditore e ha vita a sé, si valorizza.

E questo è tanto più vero nelle PMI quanto prima l’azienda inizia ad avere un'organizzazione più vasta e comincia a fare affidamento su una capacità anche di attrarre managerialità dall'esterno; tanto più l’azienda comincia a vivere di vita propria e tanto più diventa un bene che può avere un prezzo sul mercato.

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L’aggregazione permette anche a molte aziende di piccole dimensioni di partecipare a delle gare importanti cui non potrebbero partecipare e che non riuscirebbero a vincere perché troppo piccole pur avendo le qualità richieste.