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22/01/24 Camillo Lucariello Blog
Innanzi tutto occorre fare un po’ di chiarezza, cominciando a spiegare che cosa si intende quando si parla di “White Label” (etichetta bianca, cioè nessuna etichetta), terminologia utilizzata soprattutto nel mercato consumer, ma non solo, come stiamo per dimostrare. Un esempio di White Label è rappresentato dai prodotti “Private Label” (etichetta privata o personalizzata), come quelli che si trovano praticamente in tutti i supermercati e che vanno dagli alimentari ai prodotti per la cura della persona o degli ambienti. La dicitura Private Label indica che un’azienda che propone il prodotto sui propri canali commerciali (per esempio, appunto, i supermercati) lo rende disponibile al pubblico con un marchio proprio, strettamente legato al proprio brand, come ad esempio il vecchio brand “Fidaty” di Esselunga. Il produttore originale lo fornisce al rivenditore praticamente senza marchio (White Label), che viene poi applicato quando si è stabilito l’accordo con il rivenditore finale. Naturalmente ci saranno alcune differenze tra il prodotto commercializzato dal produttore con marchio proprio e quello venduto attraverso il partner commerciale. Tipicamente, il prodotto Private Label sarà personalizzato per il supermercato o il retailer che lo propone sui propri scaffali, sia in termini di confezione che di packaging, che di caratteristiche (colore, profumo, ecc.). Per renderlo più appetibile rispetto ai prodotti concorrenti, tipicamente viene proposto a prezzi più bassi o con confezioni più grandi.
Ma quali sono i vantaggi offerti a un rivenditore dall’introduzione nel proprio catalogo di uno o più prodotti Private Label? In realtà ce ne sono diversi, tutti piuttosto interessanti. Innanzi tutto, l’impegno economico per il rivenditore: nessuna attività di studio e progettazione del prodotto, nonché la cancellazione di tutti i processi legati alla produzione. Restano soltanto le problematiche di stoccaggio e di gestione della logistica, nonché, ovviamente, la comunicazione e il marketing, ma in modo piuttosto limitato. L’efficacia finale di un prodotto Private Label è legata soprattutto alla bontà delle analisi e dei sondaggi effettuati dal rivenditore tra i propri clienti per comprenderne le reali necessità e la propensione all’acquisto di un determinato prodotto, nonché capirne la sensibilità ai tipi di promozione decisi.
Resta a questo punto da capire quali sono i vantaggi che si ottengono acquisendo un prodotto White Label da parte di chi propone un prodotto a un utente finale o a un’azienda che sia cliente diretto. Alcuni li abbiamo già ricordati in precedenza, ma vogliamo qui focalizzarli ancora più a fondo. Il principale vantaggio è quello di disporre di un prodotto totalmente customizzato, cioè personalizzato secondo le proprie esigenze e, in modo ancora più importante, studiato per le necessità degli utenti finali. Il tutto senza aver investito in costosi piani di ricerca e sviluppo, ma soltanto svolto un’indagine per raccogliere informazioni dai propri clienti. Tra l’altro, realizzare prodotti che si attagliano ai desiderata dei clienti diventa in questo modo più semplice ed efficace rispetto ai metodi tradizionali.
Infine, i clienti avranno un peso immediato e potenzialmente molto importante nel determinare le specifiche dei nuovi prodotti. Questo significa che la personalizzazione sarà un elemento già insito dalla fase di progetto nelle caratteristiche dei prodotti utilizzati e che ciò che otterranno sarà molto più facilmente quello di cui avevano realmente bisogno dall’inizio.
Come si applica tutto quello di cui abbiamo parlato nel caso dei servizi in Cloud? Ne parliamo nei prossimi paragrafi.
Uno dei principali problemi di chi decide di offrire ai propri clienti servizi di Cloud Computing è rappresentato dai costi di infrastruttura. Infatti, per poter gestire e rendere disponibili servizi cloud occorre innanzi tutto dotarsi di un data center di una certa dimensione con server abbastanza potenti da sostenere il traffico dati che sarà generato dagli utenti/clienti. Sempre per le stesse motivazioni, occorre predisporre anche una rete informatica con latenza minima e throughput elevato, quindi basata su tecnologie quali la fibra ottica. Anche lo storage va dimensionato per supportare il traffico e garantire backup e memorizzazione dei dati che si intende gestire nel servizio proposto. Da ultimo, va messo in conto anche il software di gestione del tutto, a partire dal software di base per il/i data center necessari, la memorizzazione temporanea e a lungo termine dei dati e l’amministrazione delle reti e dei nodi di comunicazione. In totale, investimenti importanti che non tutti gli MSP (Managed Service Provider, i fornitori di servizi gestiti) erano in grado di sostenere. Ecco allora entrare in gioco i fornitori di infrastrutture e di data center e server, quali CoreTech (www.coretech.it), in grado di offrire questo tipo di servizi di base a terzi.
Così è nata, nel corso del tempo, una categoria di fornitori MSP che, pur non disponendo delle infrastrutture necessarie, sono abilitati a offrire quello che viene definito un “servizio di cloud computing virtuale”. In pratica, si tratta di MSP anche piccoli (PMI, Piccole e Medie Imprese), che firmano con un fornitore di infrastrutture un contratto di noleggio di infrastrutture e servizi collegati che poi a loro volta rivendono (applicando un proprio margine) ai clienti finali. I vantaggi sono notevoli per tutti: in particolare, piccole aziende che non potrebbero fornire servizi cloud di tipo avanzato, ma che garantiscono un servizio tecnico, una capacità marketing e commerciale e un’assistenza ai clienti finali di alto livello, uniti alla vicinanza fisica, si possono proporre come Cloud Service Provider a clienti di ogni dimensione, soprattutto quelli più piccoli e distribuiti sul territorio. Si tratta di una formula che sta ottenendo successo sul mercato, come dimostrano numerosi studi recenti, come quelli di IDC (https://www.idc.com/eu/italy).
Sul mercato oggi vengono offerte tre tipologie principali di servizi di Cloud Computing, da scegliere in base alle proprie esigenze specifiche. Il primo servizio è quello che mette a disposizione dei clienti le infrastrutture di calcolo, identificabili in: networking, memoria e server. Con un’abbreviazione molto utilizzata, questo tipo di servizio viene identificato come IaaS (Infrastructure-as-a-Service, Infrastruttura come servizio) e consente ai clienti di utilizzare in modo flessibile e, soprattutto, scalabile le risorse di cui hanno bisogno nel momento in cui ne hanno bisogno, cioè On-Demand, gestendo risorse e applicazioni sull’infrastruttura messa a disposizione dal provider.
La tipologia PaaS (Platform-as-a-Service, Piattaforma come servizio) è invece dedicata a chi sviluppa software e ha bisogno delle infrastrutture di test e, appunto, sviluppo per le proprie applicazioni, in cui il provider offre sistemi operativi, security e backup.
La terza e ultima tipologia che prendiamo in esame è quella definita SaaS (Software-as-a-Service, Software come servizio), in cui i clienti ottengono accesso mediante browser o API (Application Programming Interface, Interfaccia di programmazione applicativa) alle applicazioni software messe a disposizione nel cloud dal provider, che è quindi responsabile della disponibilità, della sicurezza e dell’aggiornamento.
Scegliere la tipologia di servizi cloud non è difficile, se si hanno ben presenti le proprie esigenze IT. Diverso è proporsi al mercato come fornitore White Label, che deve offrire ai propri clienti un servizio basato su infrastrutture e servizi di base di terzi. In questo caso, occorre accertarsi che il provider primario sia affidabile, aggiornato e fornito di tutte le certificazioni e le infrastrutture, hardware e software, che lo rendano un partner garantito, che permetta di sviluppare business in tranquillità, ottenendo risultati che possano consolidare la propria reputazione sul mercato, vero asset irrinunciabile per chi fornisce servizi.