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04/03/14 CoreTech Blog
La continua informatizzazione e soprattutto la forte diffusione di Internet e dei servizi di Cloud Computing, stanno facendo incrementare nettamente la quantità di server installati in giro per il mondo, in special luogo in Europa e negli Stati Uniti d’America; l’aumento dei server installati comporta una proporzionale richiesta di energia elettrica, cui i sistemi elettrici nazionali devono far fronte. Il dato confortante è che il consumo di elettricità da parte dei computer e in generale dei server e dei Data Center non è cresciuto proporzionalmente alle prestazioni di calcolo, grazie ad accorgimenti tecnici quali la riduzione delle tensioni di lavoro delle CPU (Vcore); infatti, al decuplicamento delle prestazioni di calcolo e del clock delle CPU non è seguito un decuplicamento della potenza consumata (cosa che teoricamente avrebbe dovuto verificarsi, in quanto il consumo di elettricità e la dissipazione di potenza da parte di un dispositivo logico dipendono dalla velocità di commutazione perché è nella commutazione che si verificano). Questo perché le moderne tecnologie hanno consentito di produrre dispositivi CMOS (quelli su cui si basa ormai la stragrande maggioranza delle CPU) capaci di lavorare prima a 5 volt, poi a 3,3 ed oggi anche ad 1,5 volt. E si sa che la potenza dipende, a parità di corrente consumata, proprio dalla tensione di lavoro, quindi dimezzando quest’ultima la potenza diventa metà.
Nonostante i progressi tecnologici, che non possono spingersi oltre un certo limite (stiamo aspettando il processo a 17 nm per la costruzione dei chip di ultima generazione), almeno fino all’avvento delle nanotecnologie e dei computer quantistici, i consumi di elettricità sono in continua ascesa e soprattutto la dissipazione di potenza che causano, sotto forma di calore. Le attuali densità di potenza elettrica nei data center sono dell’ordine dei 40 kW/m², un valore impressionante che implica tutta una serie di problematiche da affrontare e risolvere. Tanto per averne un’idea, è come avere installati in un metro quadrato 20 caloriferi elettrici a olio.
La prima è indubbiamente l’accumulo di calore, che se non viene smaltito porta al surriscaldamento delle CPU; ciò provoca nel migliore dei casi la riduzione della velocità di calcolo, perché le moderne schede con CPU possono scalare il clock in base alla temperatura raggiunta, così da non danneggiarsi. La seconda è il danneggiamento dell’elettronica a causa del raggiungimento di temperature proibitive.
Le cose vanno un po’ meglio con i Blade Server, che dissipano meno perché condividono nello stesso rack alcune parti come l’alimentatore e per via della posizione verticale delle schede.
Per queste ragioni, nei moderni Data Center occorre monitorare costantemente la temperatura e non basta più verificare quella del locale, in quanto può non adeguarsi in maniera sufficiente veloce a quella dei server; inoltre, laddove la temperatura superi valori pericolosi, bisogna ricorrere ad un sistema di raffreddamento dei server, che può essere:
Tra gli impianti diretti, oggi si usano molto anche quelli a liquido, basati su scambiatori di calore aria/acqua o CPU/liquido.
Il raffreddamento dei locali server va fatto al bisogno, nel senso che il sistema deve intervenire con l’obbiettivo di mantenere una certa temperatura all’interno dei rack o, se ci si può accontentare, nel locale Data Center. Perciò occorre avere a disposizione un impianto adeguato.
Per sapere quando far intervenire l’impianto e conoscere a che temperatura lavorano i propri server, bisogna fare una valutazione preventiva dell’installazione, in quanto occorre vedere la potenza in gioco, la struttura del locale e la disposizione (fitta o diradata) dei server; se le macchine sono sufficientemente distanti, la temperatura può essere rilevata nel locale, mentre se sono fitte, ossia c’è un’elevata densità di potenza, la misurazione va compiuta sulle macchine e in più punti.
Chiariamo questo concetto: il rilevamento della temperatura è tanto più fedele quanto minore è l’inerzia termica del mezzo che si trova tra la fonte di calore e la sonda di misura; per inerzia si intende la velocità con cui la temperatura della sonda diventa uguale a quella della fonte calda, ossia del server. La fedeltà del rilevamento dipende anche dalla resistenza termica del mezzo, intendendo con ciò la difficoltà che il calore impiega a propagarsi dalla fonte di calore alla sonda.
Per questa ragione, dispositivi che scaldano molto e rapidamente vanno monitorati il più vicino possibile, altrimenti la temperatura verrà rilevata tardi o in modo inesatto.
Una buona misura in realtà va fatta in più punti: nel rack e nell’ambiente, per esempio. Se la temperatura dell’ambiente varia abbastanza in sintonia con quella dei server, allora l’impianto di condizionamento si può limitare a stabilizzare la temperatura ambiente. Dove, invece, la densità di potenza degli impianti è notevole, non è pensabile fare un rilevamento nell’ambiente ma occorre intervenire direttamente nei rack e lì dirigere l’aria che raffredda i server.
In un rack, di norma la temperatura va rilevata nel punto intermedio (per esempio tra due unità) e in quello più alto dell’armadio; la prima temperatura fornisce un’indicazione sulla condizione termica del singolo server, mentre quella nel punto più alto del rack indica quanto può diventare calda l’aria alla sommità, informazione importante se in cima al rack c’è un server o altra apparecchiatura elettronica. Se in cima è vuoto, la temperatura va presa sopra l’ultimo server dell’armadio.
Zone dove conviene rilevare la temperatura in un rack contenente server.
Di norma, la temperatura nel punto più alto è indice del grado di raffreddamento del rack, nel senso che se è troppo alta, significa che l’aria calda non riesce a uscire, ovvero che non c’è sufficiente ventilazione. Invece la temperatura rilevata tra due server permette di capire come stia funzionando la ventilazione o il condizionamento: infatti, indipendentemente da come opera il sistema, se tra due unità c’è un valore eccessivo di temperatura, significa che il raffreddamento non è ottimale.
Disponendo di un sistema di misura interfacciato ad un controllore del sistema di raffreddamento, bisogna fare in modo che quest’ultimo entri in funzione quando una delle temperature rilevate ecceda il massimo ammesso.
Efficienza dei Data Center
Uno dei problemi decisamente sottovalutati da chi gestisce o si appresta a gestire un Data Center è rappresentato dalla potenza consumata, che non è soltanto quella dei computer: dove la potenza da dissipare è molta e occorre impiegare sistemi di condizionamento e raffrescamento per stabilizzare la temperatura, il consumo dell’impianto di condizionamento può diventare una componente rilevante. Infatti, nei Data Center che richiedono una stabilizzazione della temperatura dei locali o direttamente dei server, il consumo dell’impianto (HVAC) può arrivare ai 3/5 di quello dei server, vale a dire che se questi consumano 10 kVA, altri 6 servono a smaltire il calore prodotto! Un valore che non è affatto trascurabile.
Un parametro che aiuta a valutare l’efficienza energetica dei Data Center è il PUE (Power Usage Effectiveness) che è il rapporto tra la potenza consumata dal complesso e quella richiesta dai soli server; di solito il valore è poco inferiore a 2 e nei casi migliori scende a 1,4 o 1,5. In altre parole, la potenza consumata da un Data Center comprendendo la climatizzazione, l’illuminazione e i gruppi di continuità (che devono essere sempre in funzione per assicurare l’intervento immediato, ovvero una fonte di elettricità mai interrotta, come sarebbe con i gruppi di soccorso) è circa il doppio di quella dei soli server. Un dato, questo, che fa riflettere.
Questo perché la potenza refrigerante dell’impianto deve eguagliare quella termica prodotta dai server. Le pompe di calore possono aiutare a ridurre il consumo, perché presentano un coefficiente di performance (COP) maggiore di 1 e quindi, tramite l’opportuna gestione del ciclo termico, possono smaltire il calore consumando una potenza elettrica minore di quella termica.
Utilizzare con cognizione il raffreddamento dei locali o dei computer è determinante perché raffreddare poco può portare al danneggiamento o alla perdita di performance dei computer, mentre un eccessivo raffreddamento comporta il dispendio di molta energia elettrica, spesa in calore da espellere all’esterno da parte dei sistemi di raffreddamento.
Come visto in precedenza, il costo dell’impianto di raffrescamento o condizionamento è notevole e, a parte quello dell’impianto in sè, ad incidere sono la manutenzione ed il consumo energetico.
Per questa ragione rilevare la temperatura nei modi e nei luoghi giusti ha un ruolo determinante, come determinante è poter contare su apparati specifici in grado di supportare la misura e le funzioni correlate.
Verificare la temperatura di un Data Center non è difficile; renderne disponibili i valori in real-time e storici, tracciare grafici che ne delineino l’andamento nel tempo per fare delle valutazioni tecniche è un po’ più difficile: infatti serve sia un sensore termico sufficientemente preciso, sia un sistema elettronico in grado di memorizzare i dati (logger di temperatura).
Va poi considerato che non si può stare a monitorare costantemente la temperatura dei locali e dei server, perciò è anche opportuno disporre di una soluzione in grado di fornire un qualche genere di messaggio di allarme in remoto (per esempio via posta elettronica o SMS al gestore del Data Center) se la temperatura sale eccessivamente.
Tutte queste funzioni possono essere svolte egregiamente dai prodotti AKCP: in particolare, dall’abbinamento di Sensor Probe e di una sonda ti temperatura o di temperatura e umidità.
Sensor Probe è un’interfaccia di rete per svariati tipi di sensori, che, collegata al modem o router con cui accedere ad Internet, permette di tenere sotto controllo a distanza diversi parametri ambientali, ma anche di ricevere e-mail di alert quando uno di questi esce da margini facilmente impostabili dall’utente. Per l’esattezza, Sensor Probe 2 integra un web-server e un’unità intelligente di interfacciamento con vari sensori. Inoltre Sensor Probe 2 consente, al superamento dei parametri ambientali impostati, di attivare attuatori locali come relé e sirene; i relé sono particolarmente importanti perché consentono di comandare l’accensione di impianti di riscaldamento o condizionamento/ventilazione, con cui climatizzare o deumidificare i locali, ovvero azionare avvisatori d’allarme di varia natura e variamente collocati.
Nel caso specifico, Sensor Probe può essere dotato dell’apposita sonda combinata di temperatura e umidità THSxxx, ovvero di una sonda combinata e di alcune sonde di temperatura collocate in vari punti del locale e dei server, in base alle necessità.
Sensor Probe esiste in diverse varianti, che si differenziano per il numero di porte cui collegare i sensori; nel caso specifico, è sufficiente Sensor Probe 2, che permette di collegare fino a 2 sensori intelligenti ed un massimo di 10 contatti puliti. Dispone di un’interfaccia fisica ethernet, quindi può essere collegato alla rete locale esistente, ad esempio al modem o router usato per la connessione ad Internet, di cui normalmente qualsiasi esercizio commerciale è dotato; in mancanza di una connessione cablata, è possibile impiegare un modem GSM/UMTS.
Al verificarsi di un evento, ma anche periodicamente, Sensor Probe comunica l’avvenimento inviando delle e-mail agli indirizzi che l’utente avrà avuto cura di inserire durante la configurazione. Proprio per la configurazione dei vari parametri operativi, Sensor Probe dispone di un’immediata interfaccia web; ciò significa che una volta che è stato messo in rete, da qualsiasi computer del locale è possibile accedervi e svolgere le operazioni del caso: è sufficiente aprire il proprio browser Internet e digitare nella barra degli indirizzi l’IP address assegnato a Sensor Probe (questo indirizzo può essere modificato dall’interfaccia web).
Sensor Probe comunica con i sensori intelligenti mediante un’interfaccia proprietaria che presenta buona immunità ai disturbi, il che permette di impiegarla per collegamenti su distanze anche superiori al centinaio di metri.
Il web-server di Sensor Probe 2 è compatibile Full SNMP v1 e supporta i principali protocolli di rete ed e-mail, incluso SNMP MIB e SNMP polling.
L’interfaccia di rete di Sensor Probe 2 è di tipo ethernet, operante a 100 Mbps; è anche disponibile una versione con PoE (Power over Ethernet) rispondente alla normativa IEEE 802.3af. La versione POE consente di alimentare Sensor Probe tramite il cavo ethernet, da un hub o switch dotato di funzionalità Power Over Ethernet.
La sonda utilizzata per rilevare la temperatura è ottenuta combinando un sensore termico Dallas DS18B20 come quello utilizzato nel sensore di temperatura AKCP TMPxx ed un rilevatore di umidità. AKCP la produce in due varianti: una (THS01) ha il cavo integrato ed è costituita da un piccolo circuito elettronico avvolto in una guaina e terminante con un cavo dati lungo circa 30 cm (1 piede) dotato di uno spinotto di rete RJ45; l’altra (THS00) è una scatoletta nera priva di cavo ma dotata di un connettore RJ45 che permette sia di dotarla del cavo della lunghezza occorrente, sia di connetterla con un cavo ad una tratta di rete (purché non collegata ad un computer, hub o altro apparato ethernet) esistente, risparmiando così l’onere di dover tirare fili per l’installazione dell’impianto.
Nelle sonde THS, la misura della temperatura viene effettuata da un integrato DS1820, capace di misurare temperature comprese nel range -5÷150 °C con un’accuratezza di appena ± 0,5 °C (nel campo -10÷85 °C), di digitalizzarle e di renderle disponibili su una linea seriale unidirezionale; in realtà è così solo nella sonda THS01, perché nella THS00, pensata per collegamenti anche a lunga distanza, è integrata un’interfaccia a loop di corrente che rende disponibili i dati sotto forma di impulsi di corrente su un contatto differente dello spinotto RJ45 di cui è dotata.
Il DS18B20 è molto preciso sia nel rilevamento della temperatura, sia nella sua rappresentazione, che avviene con due byte con tanto di decimali: i primi quattro bit meno significativi si riferiscono a valori minori di 1, dato che il primo vale 2 alla -4, ossia 1/16, il secondo vale 0,125, il terzo 0,25 e il quarto 0,5.
La sezione di misura della temperatura assorbe tipicamente 10,7 mW e 2,14 mA.
Per quanto riguarda l’umidità, viene rilevata con un apposito trasduttore che garantisce il rilevamento dell’umidità relativa (Rh) tra 0 e 100% con una risoluzione di ±1% se collegato al Sensor Probe (appena lo 0,1% se il sensore viene abbinato all’unità Security Probe di AKCP). L’accuratezza della misura a 25°C è ±3%.
L’assorbimento della sezione di rilevamento dell’umidità assorbe tipicamente 7,25 mW e 1,45 mA.
Il sensore di temperatura
Il sensore di temperatura AKCP (TMPxx) contiene la sola sezione di rilevamento della temperatura del THSxx ed è basato sullo stesso integrato rivelatore DS18B20; dialoga con le unità Sensor Probe mediante un link dati e può essere collegato alla distanza desiderata (fino a 300 metri) mediante un cavo di estensione omologato CAT5 ethernet.
La realizzazione dell’impianto è molto semplice: basta disporre l’unità Sensor Probe nel posto dove si trovano anche il router o modem (o anche distante, collegata mediante un cavo ethernet) e connetterlo ad essi o all’eventuale hub o switch di rete, quindi collegargli la sonda THS; visto che Sensor Probe dispone di due connessioni RJ45, se occorre si può collegare anche un altro sensore, quale ad esempio una sonda di temperatura TMP, disponibile tra i prodotti AKCP, per monitorare la temperatura di un secondo locale o quella esterna. I sensori vengono alimentati da Sensor Probe attraverso lo stesso connettore RJ45 che veicola i dati.
Se la sonda deve essere collegata distante, è possibile sfruttare connessione esistenti realizzate da cavo di rete ethernet, purché sia di CAT5. Infatti la particolarità delle soluzioni AKCP è che utilizzano per la connessione ai sensori delle prese RJ45, uguali a quelli delle reti; lo stesso vale per i sensori, fermo restando che questi non hanno interfaccia ethernet, quindi la connessione degli ingressi non può essere effettuata tramite gli hub. Tuttavia è possibile impiegare tratti di cavo di rete esistenti (purché non collegati ad alcuna rete, intesa come computer, stampanti, hub, switch ecc.) per collocare facilmente i sensori nei locali dove devono essere installati e Sensor Probe vicino alla connessione di rete o nella stanza che contiene tutte le apparecchiature informatiche.
L’unità Sensor Probe 2 si alimenta mediante l’apposito adattatore di rete a 220V che fornisce in uscita 7,5÷9 V; l’assorbimento è al massimo 1,2 A con la funzionalità Power Over Ethernet, mentre il tipico consumo dalla rete elettrica è dell’ordine di 1,125 watt e 0,15 A (1,125 Wh).
Una volta realizzato il cablaggio, bisogna effettuare la configurazione del sistema, che si può immaginare divisa in due: l’impostazione dei parametri di rete, comune a tutte le applicazioni di Sensor Probe e la definizione del funzionamento del sensore e delle soglie di allarme, specifica per questa applicazione.